Delfini

di Giuliano Aluffi

delfini

Siete un delfino in cattività, nuotate verso l′altra estremità della vasca. Venti metri (di libertà) e poi dovete tornare indietro. Coraggio: vi mancano solo 5.999 vasche per coprire i 120 chilometri al giorno che percorrevate, spensierati, in mare. D′altronde, siete già fortunati a essere vivi: secondo dati Enpa, il 49 per cento dei delfini concepiti in cattività nasce morto e il 22 per cento dei nati non supera il primo mese. E i delfini strappati all′oceano, ad esempio a Taiji (Giappone) o al largo delle isole Far Øer (Danimarca)? «Nei primi mesi di cattività il tasso di mortalità è fino a sei volte più alto di quello medio» spiega Toni Frohoff, biologa americana specializzata nel welfare dei delfini in cattività. «Senza contare che molti delfini muoiono durante la cattura». Già, la cattura: a rivelare al mondo quanto sia cruenta è stato The Cove, il documentario premio Oscar del fotografo greco-americano Louie Psihoyos che testimonia, con riprese clandestine, la strage segreta che ogni anno si svolge nella baia di Taiji (Giappone) dove oltre 2.300 delfini, tra aprile e ottobre, vengono catturati e destinati in parte ai parchi acquatici e parte al mercato alimentare.

Da quando Ric O′ Barry, istruttore del celebre Flipper cinematografico, ha assistito al suicidio dell′animale (si lanciò fuori dalla vasca), ha deciso di boicottare i delfinari e denunciare, con Psihoyos, la mattanza giapponese.

A giorni il film - insieme al libro Il lamento del mare, a cura di Caterina D′Amico - esce in dvd da Feltrinelli, frutto di una collaborazione con Legambiente, Enpa e Current Tv (16,90 euro). Lo sdegno suscitato dal film ha già avuto i suoi primi effetti se parchi come Gardaland preannunciano la chiusura degli show del delfinario. Altri invece preferiscono continuare, anche per garantire l′attività di pet therapy a vantaggio dei bambini autistici (su imitazione di quanto avviene da anni in Florida). Tutti condividono infatti la considerazione che il delfino sia una delle creature più intelligenti al mondo.

«Gli esercizi spettacolari dei delfinari non ci dicono nulla però sulla sua reale e straordinaria intelligenza» spiega Louie Psihoyos. «Come disse Jacques Cousteau, il beneficio educativo di guardare un delfino in cattività è lo stesso che si avrebbe se, per capire l′umanità, si osservasse un uomo prigioniero in isolamento». Concorda la biologa Lori Marino, che da vent′anni studia i delfini alla Emory University di Atlanta: «Molti animali possono essere allenati a fare cose di quel livello di complessità». I delfini invece sono secondi solo all′uomo per la proporzione cervello/corpo e, anzi, hanno perfino una parte in più del nostro, sottolinea Toni Frohoff: «Nel sistema limbico (centro delle emozioni) i delfini hanno un lobo che a noi manca: potrebbero quindi avere delle capacità emotive uniche». Quelle cognitive sono eccezionali: «Capiscono alcune rappresentazioni simboliche di cose ed eventi, comprendono il funzionamento di certi oggetti (come le tastiere con tasti associati a suoni) e hanno coscienza di sé: sanno riconoscersi allo specchio» riassume Diana Reiss, psicologa cognitiva allo Hunter College di New York, consulente di Psihoyos.

Come si troveranno animali così evoluti nelle condizioni di prigionia che riserviamo loro, ossia vasche terribilmente anguste per chi è nato per nuotare nell′oceano? «Le vasche sono troppo piccole per la comunicazione tra delfini basata sul sonar. E troppo rumorose per il loro udito ipersensibile (copre frequenze da 75 Hz a 150 kHz, mentre quello umano va da 20 Hz a 20 kHz): li infastidiscono i rumori del filtraggio e la musica degli show. Il cloro, in più, irrita gli occhi e danneggia il loro sistema immunitario» chiarisce Toni Frohoff.

delfini in gruppo

Per Lori Marino l′aspetto più doloroso della cattività è la deprivazione sociale: «In natura i delfini hanno relazioni complesse con centinaia di consimili, mentre in cattività la convivenza forzata può portare a comportamenti autolesionistici, iperaggressivi (anche verso lo staff dei parchi) o ipersessuati. Non tutti sanno che i delfini sono animali più sociali di noi: nella definizione della loro individualità ha un ruolo fondamentale il gruppo di cui scelgono di far parte.

Tenere un delfino isolato o in un gruppo in cui è a disagio può distruggere la sua psiche». Ancora più triste la vita di chi ha conosciuto la libertà: «Sappiamo che i delfini ricordano la vita libera: quando riproduciamo le vocalizzazioni dei membri del loro gruppo naturale, i delfini in cattività rispondono» commenta Lori Marino.

Possono scienziati che scoprono tutto questo rimanere insensibili alla sorte di animali così vicini a noi? Risponde Diana Reiss: «Sono stata la prima persona a parlare a Psihoyos della cattura dei delfini a Taiji. Nel 2000 il documentarista Hardy Jones mi rivelò il segreto di Taiji. Quando conobbi Louie Psihoyos a un convegno gli raccontai tutto sperando che potesse farne un film». E adesso? «Con Louie stiamo per lanciare un progetto per diffondere sul web, via satellite, ciò che accade in tempo reale nell′insenatura di Taiji» dice la Reiss. «L′iniziativa si chiamerà Whole World Watching, e il messaggio per i pescatori di Taiji e quelli come loro è: non potete più tentare di far passare ciò che fate ai delfini come un fatto privato. Il mondo vi guarda». Nel frattempo, il governo di Tokyo ha già tolto dal menu delle scuole la carne di delfino.

Giuliano Aluffi

 

L′articolo è stato pubblicato sul Venerdì di Repubblica del 10 settembre 2010.


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